Biografia e critica

Note biografiche

 

Daniela Bianchi è nata nel 1960 ad Aiseau (Belgio), vive e lavora a Brescia.

Ad un esordio da autodidatta, in ambito figurativo orientato verso l'illustrazione per l'infanzia, è presto seguita, per necessità interiore, la scelta di muoversi in un più ampio contesto, al fine di meglio esprimere la propria indole immaginifica nonchè interpretativa.

Attraverso l'elaborazione di forme espressive più libere ed evolute, sovente legate a moderni poeti ed ad arcaici miti, ha maturato una cifra stilistica caratterizzata dall'inclusione di senso all'interno di composizioni pittoriche evocative e visionarie, nel cui essenziale impianto appaiono evidenti quali punti di forza, la lievità del gesto e l'incisività del segno.

 

 

Anno 2011 :

- Brescia , Associazione Culturale La Parada, Incipit

 

Anno 2013 :

- Brescia, Palazzo la Fontana , Avventure d'Idee

- Brescia, Sala Civica SS Filippo e Giacomo, Collettiva, Dieciannineosemplici

 

Anno 2014 :

- Brescia, AAB, Collettiva, Ricognizione 2013-2014

- Parma, Lab.E.A.C Electronic Art Café , Luoghi del sogno e dell'oblio

- Udine, Galleria ARTtime, Collettiva, Artisti a confronto

- Brescia, Palazzo Martinengo, Collettiva, I nostri piccoli Super Eroi

 

Anno 2015

- Brescia, Sala Civica SS Filippo e Giacomo, Collettiva di Artisti Amici

- Brescia, AAB, Collettiva, Ricognizione 2014-2015 

- Piacenza, Galleria La Spadarina, Collettiva, Passato, presente o futuro

 

Anno 2016

- Pisogne (BS), Torre del Vescovo, Attraversare porte

 

Anno 2017

- Lumezzane (BS), Torre Avogadro, Ut pictura poiesis

 

Anno 2018

- Lerici (SP), Palazzo Comunale, Noetiche Visioni

- Arcola (SP), Borgo Antico, collettiva, Arcolart 

- Bagnolo Mella (BS), Palazzo Bertazzoli, collettiva, Io e gli altri

 

Anno 2019

Bagnolo Mella (BS)Palazzo Bertazzoli, collettiva, Oltre

 

Anno 2020

Bagnolo Mella (BS)Palazzo Bertazzoli, collettiva, Parole

 

Anno 2021

Bagnolo Mella (BS)Palazzo Bertazzoli, collettiva, Sogni

 

Anno 2022

- Venezia, Palazzo Albrizzi Capello, collettiva, Venezia in Biennale

- Bagnolo Mella (BS), Palazzo Bertazzoli, collettiva, Vivere

- Scilla (RC), Castello Ruffo di Calabria, collettiva, Mediterraneum

- Gussago (BS), Chiesa di S.Lorenzo, Assonanze

 

Anno 2023

- Firenze, Art Art Gallery Xhomo, collettiva, Firenze Contemporary

- Sarezzo (BS), Palazzo Avogadro, collettiva, Premio d'Arte 2023

 

 

Ludico fare

A distanza di tempo dall'ultimo acrilico su carta, stimolata da altri materiali e supporti ( rame e cartonlegno )  e dalla necessità di variare tecnica, che negli  stessi trova compimento, ritorno, con un processo espressivo radicalmente mutato. Il venir meno della parola poetica, costante cifra del precedente lavoro, consegna al silenzio la propria forza ispiratrice. Nell'assenza di qualsivoglia mormorio di pensiero ma nel più vivido intento creativo, forme e colori liberamente danzano, immagini  spontaneamente si creano, chiedendo di essere comprese. E qui ritorna la parola, che stavolta non ispira  ma interpreta ciò che rimanda la visione, inquadra, azzarda un significato, nomina. Un percorso inverso al precedente, non meno entusiasmante, forse arbitrario. Un ludico ritorno al fare, che non allude nè declama, semplicemente si mostra.

 

Qualcosa di me 

 

Guardando a quella che negli ultimi anni è venuta a configurarsi cifra stilistica, con piacere osservo quanto l'esordio figurativo, per quanto oltrepassato, abbia lasciato un'eco facilmente riscontrabile nella produzione odierna, laddove sopravvive una parvenza di immagine reale, quasi a voler testimoniare una certa resistenza di fronte alla pura astrazione. Detto questo, l'evoluzione è venuta da sé, germogliando nella necessità di superare il disegno quale supporto all'elaborazione dell'opera. Il disegno, da me vissuto sempre più come costrizione, limite, freno a quell'immediatezza, intuitiva e gestuale, che mi appartiene. Dipingo pertanto di getto, seguendo ciò che un silente pensiero suggerisce, nello sforzo anche fisico, di accostarmi all'Anima Mundi, di cui aspiro a cogliere le variegate essenze. Solo al termine del lavoro pittorico intervengo graficamente, evidenziando segni e aggiungendo parole, al fine di facilitare la lettura d'insieme, in relazione alle stesse e all' evocativa musicalità cromatica. La presenza della parola, poetica naturalmente, muove dal fascino che su di me esercita e trova espressione nel chiasmo che unisce conoscenza e creazione, all'interno della visione che si fa azione, origine del mio fare. La sublimità del sentire, in visionari poeti e pensatori privati, quando si esprime in versi e riflessioni dall'afflato mistico, si condensa in parole che suscitano in me il desiderio di farle rivivere all'interno di poliedriche immagini, quali intuizioni del Sacro in connessione con il Tutto. Così avviene l'incontro tra pittura e poesia, offrendosi a sguardi capaci di cogliere l'archetipica essenza che lo sostanzia e fluttua leggera tra realtà e sogno.

 

 

Un ragionevole caos: la pittura di Daniela Bianchi

Nel 1925 il filosofo spagnolo Ortega y Gasset pubblicò un saggio dal titolo La disumanizzazione dell’arte, per dire come a un certo punto le arti figurative e non solo si fossero allontanate dai gusti della massa, dal pubblico, dall’umanità. Anche se Ortega y Gasset si riferiva precisamente alle avanguardie del primo Novecento, il suo discorso è ancora valido per descrivere il quadro epistemologico in cui siamo immersi, o perlomeno la tendenza fondamentale che ha attraversato tutto il secolo precedente fino ad oggi: la perdita progressiva di tratti realistici, di un aggancio evidente con i referenti concreti, il conseguente aumento di concettualizzazione e astrattismo. Cioè un’inclinazione anti-mimetica, anti-romantica, che ha caratterizzato con modi e tempi sfalsati ogni ambito dell’espressione umana (accanto alla pittura è forse la poesia la vera forma disumanizzata dei nostri giorni) e che spesso diventa bersaglio di un’ironia facile e bonaria.

L’opera di Daniela Bianchi si colloca in questo solco, e al tempo stesso fa mostra di non volersi arrendere alla pura astrazione. Si riconoscono tracce di rappresentazione diretta della realtà, spesso riconducibili a marine fredde, notturni convulsi, e ad altri spettacoli di natura tumultuosa; ma soprattutto i quadri sono accompagnati da parole, molte citazioni da poeti classici, o moderni con un respiro mitico (Rilke, Yeats, e anche l’Eliot della Terra desolata, che pure dei miti ci ha mostrato l’esplosione e la compresenza senza distinzione di alto e basso). I versi sembrano quindi dare una direzione al nostro sguardo, indirizzarlo verso una qualche interpretazione, al riconoscimento di un senso dietro l’oscurità di partenza. E d’altronde, può davvero esserci piacere estetico in totale assenza di significato?

Proprio quest’ultima constatazione ci autorizza ad accostare un certo tipo di arte (e, con diverse gradazioni, l’arte in genere) alla forma meno condivisibile dell’espressione umana, che nasce e muore in una dimensione del tutto privata, e che tuttavia esprime sempre qualche significato, spesso cruciale, a condizione di nasconderlo: il sogno. Come Freud ha dimostrato, nei sogni il significato centrale è spesso marginalizzato, mentre a occupare il centro della scena sono piuttosto le immagini secondarie (figura di spostamento); altre volte è invece l’accumulo di significanti, il loro sovrapporsi a impedirci di cogliere il messaggio latente (figura di condensazione). Con qualche forzatura, possiamo dire che avviene qualcosa del genere nella pittura di Daniela Bianchi. Strati di colore, tratteggi addensati, dettagli dislocati, sbuffi non motivati, tutto concorre alla sensazione di un ragionevole caos, nel quale occorre imparare a orientarsi.

E poi ci sono le parole, che come detto costituiscono parte integrante dei quadri, e quindi possono e devono rientrare anche nel processo interpretativo. In una tela in particolare vediamo una strana e inquietante figura, due occhi piccoli e crudeli dietro una sagoma incespugliata, incorniciata sopra e sotto dalle parole: “«Tutto ciò che accade tu lo scrivi», disse./ «Tutto ciò che io scrivo accade», fu la risposta”. Con una rapida ricerca, che corrisponde di fatto a un tragitto intertestuale, si risale subito alla fonte: il romanzo La Storia Infinita di Michael Ende, reso famosissimo dalla versione cinematografica del 1984. Per chi ha visto il film, l’associazione immediata è col lupo Gmork, emissario del Nulla, che si affaccia spaventosamente da una caverna minacciando il protagonista. Ecco che l’inquietudine di partenza non era soggettiva e arbitraria, ma motivata e autorizzata dal quadro stesso, che sembra quasi assumere un significato metartistico, di rinnovato rapporto con la realtà (“tutto ciò che accade tu lo scrivi”) contro la minaccia del Nulla della mancata comunicazione.

Per quanto audace, e certo discutibile, questa lettura si fonda comunque su indizi forniti dall’opera e fa sistema con il resto della produzione della nostra pittrice; muove insomma dall’evidenza del quadro, compie lo sforzo di esservi fedele, cerca di ricavarne un senso riconoscibile da tutti. Ciò non esclude la possibilità di abbandonarsi al piacere delle proprie divagazioni personali, ma deve valere come prova di fiducia nell’universalità dell’espressione umana: un’arte che porta dei significati condivisi non sarà mai veramente disumanizzata.

Andrea Accardi  - Brescia 2017